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Da LA NUOVA di Venezia e Mestre di mercoledì 14 ottobre 2015
di Francesco Dal Mas
VENEZIA. «Sono contento di essere vissuto in questo mondo». Il decano della Chiesa italiana parla, si confida quasi. Lo fa con un profugo. Con Issa, venuto dal Mali, accolto nella Comunità Villa San Francesco di Facen di Belluno fondata dall’allora patriarca di Venezia - poi papa Giovanni XXIII- Angelo Roncalli. Loris Capovilla, il più anziano vescovo e cardinale d’Italia, compie oggi cento anni. E ha scelto di festeggiarli così, accanto ai profughi, nella sua casa di Sotto il Monte. «Issa, che Dio ti benedica» dice al ragazzo, abbracciandolo. Issa non è cristiano, ma quell’abbraccio contiene tutto. Rivolgendosi, poi, agli altri profughi e immigrati, arrivati da lui accompagnati da Aldo Bertelle direttore della Comunità, l’ex segretario di San Giovanni XXIII dice: «Amo il vostro paese, penso alla vostra mamma, penso alla vostra giovinezza. Avrete molte difficoltà ma se siete fedeli a Dio avrete anche qualche consolazione. Siamo tutti fratelli». Nato a Pontelongo, in provincia di Padova, il 14 ottobre 1915, orfano del padre a sette anni, trasferitosi con la madre e la sorella a Mestre nel ’29, Capovilla è stato ordinato prete il 23 maggio 1940.
La prima esperienza pastorale lo segna profondamente: è cappellano a Marghera, nel carcere minorile e all’ospedale degli infettivi. Durante la seconda guerra mondiale presta servizio militare in Aviazione. Poi, per oltre un decennio, dal 15 marzo 1953 al 3 giugno 1963, è segretario particolare di Angelo Giuseppe Roncalli, prima quando questi, appena creato cardinale, è nominato patriarca di Venezia; dalla sera del 28 ottobre 1958 diventa direttore collaboratore del papa, Giovanni XXIII. E lo rimane, fino alla sua morte, attraversando quindi la storica esperienza del Concilio Vaticano II che rinnova profondamente la Chiesa. Capovilla diventa vescovo di Chieti nel 1967, poi passa a Loreto. Alle dimissioni, nel 1988 a 73 anni, va ad abitare a Sotto il Monte Giovanni XXIII, in provincia di Bergamo, paese natale di Roncalli.
È qui che il 12 gennaio 2014 accoglie, con sorpresa, la nomina a cardinale. Ed è qui che l’altra sera ha ricevuto Bertelle e i suoi ragazzi. A loro, in qualche modo, ha scelto di dettare il suo testamento: «C’è una sola famiglia umana, io non sono italiano e sono cittadino del mondo, come te, caro Issa» ha detto abbracciando il giovane profugo. «Solo che io ormai ho finito la mia corsa e tu la comici. Dai il tuo contributo per la civiltà dell’amore perché non ce ne è un’altra, non c’è la civiltà della tecnica, della potenza o delle armi. A me sono tanto cari i miei fratelli cristiani, lo so, ma lo sono ugualmente nella stessa misura, mi sono cari tutti gli uomini e donne di questo mondo. Sono contento di essere vissuto in questo mondo. Nel ricordo di tutta la mia vita non ho visto mai una persona antipatica, una patria che non mi piace. Tutto quello che è della creazione è dono di Dio. In ognuno di noi c’è qualcosa di buono; se ognuno di noi è buono sono contento, ma se non è buono è sempre mio fratello lo stesso, gli voglio bene. Lo tengo per mano stretto a me e camminiamo insieme verso la civiltà dell’amore».
A chi gli chiede se nei suoi cento anni si sente ancora ottimista, Capovilla risponde: «Scusa, come posso essere pessimista io, dopo aver incontrato uomini come papa Giovanni, Paolo VI, gli altri papi, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti, Alcide De Gasperi, Aldo Moro. No, non siamo allo sbando. La nostra storia è storia di bellezza, di verità, di giustizia e di amore. Noi intendiamo ancora calcare queste orme. E andare ben oltre». Oltre, verso un nuovo umanesimo. «In comunione con gli uomini e donne di buona volontà appartenenti a tutte le nazioni» dice «io mi frammischio come un amico e sento che davvero con l’apporto di migliaia di donne e uomini di ogni stirpe, camminiamo verso l’unità più piena della famiglia umana; un solo Padre, un solo Redentore, una sola Madre santissima, un solo Pastore universale, un solo sguardo rivolto verso i cieli eterni».
È da oltre 50 anni che “don Loris”, come continuano a chiamarlo a Venezia, intrattiene una relazione specialissima con i veneti della Comunità di San Francesco, dove ha benedetto la Madonna dell’Inutile, protettrice di quelli che papa Francesco chiamerebbe «gli scarti»: «Se il Signore vi concede la grazia di conservare lo spirito di semplicità, di umiltà, del pane quotidiano onestamente anche sudato, dei buoni rapporti con chi sia, della preghiera generosa per tutti, del perdono di quelli che ci fanno soffrire, se conservate questo spirito» così si rivolge loro «avete salvato voi stessi e procurerete per quelli che verranno dopo di voi l’impegno a continuare questo inizi di ciò che è un piccolo fiore di campo, non pretende di più, un piccolo seme, sì ma il seme però è una speranza di vita. Oggi, domani, dopodomani, godremo insieme di questa fioritura, di questa maturazione, di questo trionfo, non delle nostre piccole persone ma del messaggio di Gesù “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”».
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